CASHMERE D’ARTISTA

MONIQUE LECERF: I COLORI DELLA MORBIDEZZA

Capelli biondi, gli occhi curiosi, il bel viso dolce e sensuale come una dama del Piazzetta. Un brio mercuriale, la risata musicale come un melodia di spinetta. E poi i colori, il cilestrino della maglia di cashmere.

Eccola, Giuliana Barosco: sta, da regina, nella sua factory di Musile di Piave (Venezia), una calda conchigla espositiva, con mobili rustici, quadri moderni, maniresti circensi e tanti altri piccoli oggetti d’arte a far da cavalieri, belli e silenziosi, a un piccola brigata di magie in cashmere: maglie e maglioni, giacche, gonne scialli ricamati con sontuose decorazioni, inni a un lusso colto e sofisticato, alcuni di taglio classico, altri contagiati da mille memorie, riferimenti pittorici, ummagini di culture lontane, magari un flash sparato dall infanzia.

É un sunto delle collezioni di Monique Lecerf, un marchio di prestigio, ma estraneo alle frenetiche kermesse modaiole. “Non seguo la moda, non faccio moda”, esordisce Giuliana, “non sono una stilista ‘industriale’. Ho rinunciato a esserlo qualche anno fa.

La Monique Lecerf l’abbiamo fondata nel 1981 io e la moglie di mio zio, una ragazza normanna che si chiama appunto cosi. All’ inizio è stato un gioco, a lei piaceva la moda, io mi ero appena laureata in storia dell’arte, e quell attività, oltre ad avere un lato artistico, era un remunerativo complemento agli studi di arte contemporanea che conducevo con Renato Barilli. Poi lei è tornata in Francia e io sono rimasta sola con quest azienda di cui non sapevo bene che cosa fare. Ho iniziato a partecipare a fiere, a fare sfilate, nel 1984 ho aperto una boutique a Cortina d’Ampezzo: insomma mi sono infilata nel circuito della moda. E andava bene, i capi piacevano, le scenografie che creavo attorno alle collezioni catturavano plauso e applausi: ma era divorante, spazi per me non ce n’erano più, non avevo più il tempo di scrivere d’arte e nemmeno di vederla, tutto succedeva in funzione dell’azienda. A  quel punto ho detto basta” …